di LAURA MELIS – Il Codice della Strada non richiede la verifica delle condizioni del conducente assuntore di farmaci, c’è un vuoto normativo.
Il nuovo codice della strada, entrato in vigore il 14 dicembre 2024, ha modificato l’articolo 187 che disciplina la guida dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope. Il reato e le relative sanzioni (ammenda, arresto e sospensione della patente di guida) si configurano se il guidatore risulta positivo a specifici accertamenti eseguiti sui propri liquidi biologici (saliva, sangue, urine) ma non è stata indicata formalmente una lista di sostanze e farmaci la cui assunzione possa compromettere la guida, e, cosa peggiore, al momento non ci sono linee guida per i pazienti in terapia farmacologica.
Sicuramente al bando sono i farmaci a base di morfina, le sostanze analgesiche oppiacee, i medicinali a base di cannabis, le benzodiazepine e i barbiturici. Ma potrebbero esserci problemi nel caso di assunzione i antistaminici, antidolorifici oppioidi, ansiolitici e sedativi, farmaci per la pressione e antidepressivi triciclici: ossia, farmaci, anche di uso comune, che possono avere controindicazioni sulla capacità di guida (come, ad esempio, sonnolenza e alterazione della concentrazione).
Numerosi Ordini dei medici e svariate Associazioni di pazienti hanno rivolto interrogazioni e mozioni al Governo, al fine di richiedere un intervento urgente volto ad armonizzare l’art. 187 CdS con la cura e la tutela dei soggetti sottoposti a terapia farmacologica che comprenda l’utilizzo dei farmaci a rischio.
Di fatto, il Codice della Strada non richiede una verifica delle condizioni del conducente assuntore di farmaci che possano attestare l’eventuale alterazione delle capacità motorie e cognitive. Questo approccio potrebbe, paradossalmente, portare all’equiparazione tra chi guida in stato di alterazione per abuso di sostanze e chi è sotto terapia controllata, i cd. “falsi positivi”.
Gli oppioidi, ad esempio, o la cannabis terapeutica, sono farmaci fondamentali per i pazienti che soffrono di dolore cronico, secondo quanto stabilito dalla Legge 38/2010, che garantisce il diritto a cure palliative e terapie del dolore. I medici ricordano che circa 10 milioni di italiani soffrono di dolore cronico e che molti di loro utilizzano oppioidi secondo le Linee Guida internazionali, sotto stretta supervisione medica, per gestire la propria condizione e mantenere una vita autonoma e attiva. Impedire loro di guidare potrebbe avere conseguenze gravi, come il rischio di isolamento sociale e lavorativo ed il timore di incorrere in sanzioni potrebbe addirittura disincentivarli dal seguire correttamente le terapie, con ripercussioni sulla loro salute e qualità di vita.
Un aspetto che complica ulteriormente l’applicazione delle nuove norme è rappresentato dal fatto che mentre con il vecchio Codice i controlli sullo stato psicofisico di un conducente venivano effettuati solo in presenza di evidenti segnali di alterazione, con la nuova normativa il semplice riscontro di tracce residue di principi attivi nell’organismo, anche dopo l’esaurimento degli effetti del farmaco, può portare a sanzioni severe, inclusa la sospensione della patente o, nei casi più gravi, l’arresto.
Farmaci come benzodiazepine, barbiturici e antiepilettici, pur non avendo più effetti sulla capacità di guida, possono essere rilevati nei test salivari anche giorni dopo l’assunzione. Questa situazione non solo preoccupa i pazienti, ma mette in difficoltà i professionisti sanitari, che chiedono criteri chiari per distinguere tra chi segue terapie e chi rappresenta un reale pericolo alla guida.
Siamo di fronte ad un vuoto normativo che penalizza ingiustamente chi segue terapie mediche prescritte e sotto stretto controllo sanitario, e genera un paradossale contrasto tra sicurezza stradale e diritto alla salute.
Tutti, accoratamente, attendiamo chiarimenti dal Ministero per assicurarci una guida serena e sicura, anche per chi è in cura!
(foto: sdondo cover – licenza pxhere – https://pxhere.com/it/photo/565804)

Avvocato, ha iniziato la carriera professionale presso lo studio legale dell’Avv. Nicola Guerrera negli anni più intensi del fenomeno mafioso calabrese. Esercita la professione forense a Cagliari e Lucca, dove attualmente risiede. Sensibile, tra l’altro, ai temi legati alla difesa dell’ambiente e degli animali, ha promosso e curato significative cause e iniziative a livello nazionale. Patrocinante in Cassazione, si adopera nel ramo del diritto civile e penale, con una particolare attenzione al disagio familiare sino alla violenza di genere.