Cronaca della Versilia

Seravezza – La colonna di Michelangelo fra leggenda e verità storica

di Antonietta Bandelloni – Nel giardino della villa Bernard Sancholle Henraux si trova parte di una colonna che sembra essere proprio quella fatta estrarre da Michelangelo Buonarroti nelle cave

A Seravezza, nel giardino della villa Bernard Sancholle Henraux in cui risiedono le suore, è collocata parte di una colonna che, leggenda narra, fosse proprio quella fatta estrarre da Michelangelo Buonarroti nelle cave e poi rovinosamente caduta nel fiume Serra andando in pezzi.

Analizzando fatti, documenti, date e soprattutto misure, quella porzione di colonna potrebbe essere davvero parte di quella citata dal sommo scultore nella lettera che scrisse il 20 aprile del 1519 da Seravezza a Pietro Urbano: ‘Pietro, le chose sono andate molto male e questo è che sabato mactina io mi messi a fare chollare una cholonna chon grande ordine, e non manchava chosa nessuna; e poi che io l’ebbi chollata forse cinquanta braccia, si rupe uno anello dell’ulivella che era alla cholonna, e lla cholonna se n’andò nel fiume in cento pezzi…’.

La colonna collocata nel giardino ha un diametro di 72 centimetri per un’altezza fuori terra di 125. Su un lato presenta lettere scalpellate con la subbia, non più decifrabili a causa dell’erosione, mentre l’incisione ottocentesca sulla sommità riporta le seguenti parole: “Michelangelo Buonarroti dal Monte Altissimo, ardito lavoratore, ai primi di maggio del 1514, una grossa colonna discese, che con rottura d’attrezzi, con grave pericolo per gli astanti a valle precipitando s’infranse. Questo rinvenuto frammento oggi a noi attesta l’accaduto”.

La data incisa è errata così come è errato il luogo di estrazione citato. L’anno corretto è il 1519, anche perché nel 1514 Michelangelo ancora non era ancora stato obbligato da papa Leone X de’ Medici a cercare marmi in queste terre. Stessa cosa vale per il luogo di estrazione. Non poteva essere le cave dell’Altissimo a cui la strada per far scendere i marmi a valle arrivò dopo, grazie all’opera iniziata dallo stesso artista e poi portata a termine dall’Opera del Duomo di Firenze quando oramai il contratto per la facciata della basilica fiorentina di San Lorenzo era stato sciolto.

Nell’atto rogato a Pietrasanta da ser Giovanni di Paolo Badessi e sottoscritto da Michelangelo, è chiaramente definito il luogo di estrazione delle colonne: le cave di Trambiserra, al tempo chiamate alternativamente Transvaserra e Finochiaia che, oggi come allora, si trovavano dirimpetto alla cava Cappella. Tutti luoghi prossimi all’attuale collocazione della colonna, estratta dal fiume nel 1821 quando fu ripristinata la strada che lo costeggia da parte della famiglia Henraux.

…detta chiesa de Santo Lorenzo de Florentia: la quale facciata d’essa Chiesa s’à da fare ad nome del santissimo in Christo padrepapa Leone Decimo, et decti marmi esso prefato maestro Michele Angelo ha in decti soprascricti cavatori d’essi marmi allogato, come de sopra, a cavare et sbozare nella montagna et iurisdictione della terra de Petra Santa del Stato del magnifico et excelso Populo et Dominio florentino, in loco decto Finochiaia sive Transvaserra o veramente altro più veriore nome se appellasse: nel quale loco, dove sono decti marmi et déssi cavare decto marmo; et dirimpetto et riscontro in loco detto alla Cappella, iurisdictione et vicinanza di Pietra Sancta. In dello quale loco decte due parte confessano in presentia di me notaro et testimoni…”.

Michelangelo avrebbe dunque dovuto far cavare 12 colonne alte 11 braccia, esclusa base e capitello, con un diametro alla base di un braccio e mezzo mentre alla testa il diametro avrebbe dovuto essere di un braccio e un terzo. Colonne poi pagate 30 ducati d’oro ciascuna, sbozzate e condotte fino ai piedi del ravaneto.

Facendo qualche conto, con il braccio fiorentino corrispondente a 0,548 metri, il frammento di colonna che è a Seravezza ha un diametro nella parte più alta che corrisponde esattamente alla testa: 72 centimetri. Effettivamente, più in basso, la colonna ha dimensioni leggermente maggiori.

Quel marmo oggi risulta corroso e annerito dalla lunga esposizione agli agenti atmosferici e danneggiato dallo scorrere delle acque quando si trovava nel letto del fiume. Tuttavia, nella parte più alta che reca l’incisione ottocentesca, si intravede la buona qualità del marmo.

L’imprenditore di Seravezza Nicolino Verona, fondatore dell’azienda VNE, per evitare che gli agenti atmosferici continuino la loro azione deleteria sulla colonna, ha deciso di sottoporla a un attento intervento di restauro e di metterla sotto protezione creando una teca appositamente studiata.

©Foto e video di Antonietta Bandelloni